Numero 24

LAVORARE ALL’ESTERO: UNA SCELTA CHE IMPONE PRUDENZA

 

Giulio Rosi
di Giulio Rosi

 

L’avanzata inarrestabile del fenomeno di “globalizzazione”, favorito anche se non provocato dagli enormi progressi verificatisi negli ultimi decenni nei settori della comunicazione - ma anche dalla recente liberalizzazione economica di vaste realtà geopolitiche fin’ora completamente estromesse dalle strategie commerciali e consumistiche del mondo industralizzato – a livello manageriale e impresariale, in Italia ha dato impulso all’abitudine di esportare in altre nazioni gran parte delle risorse umane qualificate e delle attività produttive e commerciali, che per molti decennni avevano operato solo nei rispettivi ambiti regionali e locali, o tutt’al più ai Paesi di immediata vicinanza ai confini nazionali.

Questa tendenza, che ha avuto il suo momento di massima evoluzione durante il passaggio fra i due secoli, cioè nel triennio 2000-2003, continua a registrare un andamento positivo di esportazione intellettuale e di know-how verso territori stranieri o quanto meno dell’UE, che spesso risultano carenti dei requisiti indonei per il conseguimento di duraturi ed effettivi risultati, sia manageriali sia aziendali.

La parte negativa, il rischio e l’incertezza nel conseguimento degli obiettivi, non riguarda i livelli più alti della scala manageriale- soprattutto nella fascia media di età dove l’esperienza diventa fattore di vantaggiosa contrattazione - e i gruppi già costituiti a livello internazionale, come ad esempio le multinazionali ed i loro organici più elevati, che di fatto scelgono le loro collocazioni geografiche in base a strategie di mercato ben definite, potenti e praticamente infallibili, soprattutto per le gigantesche possibilità finanziarie che permettono di assorbire senza danni qualsiasi errore di impostazione, eventuali scelte a rischio o imprevedibili contraccolpi congiunturali.

Il vero problema è rappresentato dai quadri meno protetti, dai manager con minori esperienze, dai liberi professionisti e in particolare dalle realtà aziendali più piccole - e quindi economicamente e socialmente più vulnerabili -  che a volte troppo incautamente confidano in elementi propagandistici, vaghi, superficiali,  non suffragati da dati e garanzie. In altre parole, l’ansia di arrivare ad un rapido successo, le carenze occupazionali presenti in Italia, la crisi economica, l’elevata tassazione dei redditi da impresa, i problemi del personale, la tendenza emulativa nei confronti di chi è già arrivato allo scopo, le false informazioni -  spesso surrettizie e diffuse da agenzie di consulenza impreparate, prive di scrupoli e tendenti solo al profitto immediato -  la leggerezza nelle decisioni, la superficiale fiducia nell’imprevisto e la voglia di conquistare mercati apparentemente facili da parte di imprese medie e piccole, senza un adeguato appoggio organizzativo all’estero, provocano molto spesso delle situazioni irreversibili di spiazzamento, con alti costi e scarsi ritorni economici, che si risolvono con le solite delusioni e le varie forme fallimentari previste dal diritto internazionale.

La soluzione? Magari ce ne fosse una, chiara, precisa e facilmente attuabile. La sola cosa che conviene fare i  questi casi, quando l’attrattiva del successo all’estero si presenta in modo incoercibile, è quella di affidarsi ad un buon consulente in grado di garantire, attraverso una documentata esperienza, una onesta collocazione sui mercati esteri,   illustrando una panoramica abbastanza ampia delle possibilità reali offerte dai singoli paesi. Come per la scelta del medico, dell’avvocato e del fiscalista, la scelta di un buon consulente impresariale per l’estero rappresenta un problema iniziale non indifferente.

L’importante è non avere fretta di decidere, sia pure rispettando i tempi ragionevoli di un progetto d’impresa o di professione che non ammette ritardi. Solo dal consiglio di chi ha ottenuto una prestazione adeguata all’investimento è possibile trarre i migliori elementi per una decisione. La riduzione dei uffici dell’Ice è stata spesso sostituita da una miriade di Camere di Commercio italiane all’estero, che promettono mari e monti, ma che molte volte sono semplicemente dei contenitori fatti per nominare presidenti, segretari e consiglieri con poca cultura e pochi scrupoli, ma furbi ed avidi di popolarità. Certo, anche qui s’impone una differenziazione, ma non è questa la sede per farla. Avremo altre occasioni per parlare dei pregi e dei difetti di queste strutture, dove l’arrivismo e l’improvvisazione a volte regnano sovrani, mettendo in secondo piano l’interesse di alcuni iscritti per favorire altri.  È comunque buona norma non fidarsi a priori di chi ha la promessa facile, di chi offre tutto senza chiedere niente.

Le regole del mercato sono rigide e i veri professionisti sono i primi a rispettarle. Anche quando sembrano ostacolare l’immediata conclusione di un vantaggioso contratto di consulenza.